Home / Panzeri Culture Program /

La Luce nell’Architettura: l’Anti-materia per l’Arte Contemporanea

La Luce nell’Architettura: l’Anti-materia per l’Arte Contemporanea

11/03/2021

“il sapere non è fatto per comprendere, è fatto per prendere posizione”.
Michel Foucault.
“La luce è quella parte dell’architettura che non si disegna, una visione, un trucco sapiente: è il tocco del concertista, determinante quasi quanto quello del compositore”.
MdC
Nessuna tipologia architettonica ha subito una trasformazione così contraddittoria e radicale come quella del museo: un’estetica in lenta evoluzione per secoli, che ha vissuto accelerazioni improvvise negli ultimi decenni del secolo scorso.
Dal Palazzo Medici Rucellai, conosciuto come primo esempio, alla “pletora planetaria” recente; “la stanza degli stupori”, costoso giocattolo del potente di turno, è diventato irrinunciabile servizio pubblico per gli stati moderni.

“una rampa di luce dalla terra al cielo”(il Guggenheim di New York,1959)Il museo diventa veramente icona quando F.L. Wright, rende inane New York (proprio mentre Miles Davis sta rendendo inutile il jazz classico incidendo qualche isolato più a sud Kind of Blue) costruendo un’elica lunga un quarto di miglio, inclinata, dalla terra al cielo, che incrina il dogma dell’ortogonalità.
Il Grande Mecenate regala al mondo lo stupore fino ad allora poco frequentato dell’arte moderna, e un’architettura capace di contenerla.
Si stabilisce un principio eponimo: dall’inaugurazione del Guggenheim nulla sarà più come prima, nel mondo del progetto in particolare e nel mondo, in generale.
Chissà cosa avrà visto il vecchio Frank guardando il lucernario rotondo della volta laica capace di inondare lo spazio continuo con l’imprevedibile capriccio della luce.
Dal giorno che “illumina” le opere, alla notte “stellata sopra di me”, dal sole che infiamma gli espressionisti, alla pioggia che crea inquietudine ai cubisti.
Luce, naturale o artificiale come essenza dell’architettura che, aspettava solo di essere liberata, dalle consuetudini estetiche per dare inizio ad una incoercibile anti-classicità.
Quella luce è materia immateriale, è il prodigio insostituibile che trasforma un luogo nel “Luogo”, e nel simbolismo museale questa modalità va oltre il suo significato illuminotecnico, stabilisce i recinti concettuali, e ci racconta che quella “cosa” è proprio l’arte.

“la fabbrica illuminata”(il centre G.Pompidou, Parigi)Se qualcuno si fosse convinto dell’impossibilità di andare oltre il Guggenheim di NYC, basterà poco tempo per ricredersi.
Nel “nulla lacerato” delle Halles di Parigi, città-metafora dell’arte moderna, un giovanotto sbaraglia più di 400 studi di architettura e vince il concorso per il nuovo museo d’arte contemporanea, dedicato al Presidente George Pompidou.
Renzo Piano e Richard Rogers giocano con la città, e ne rendono obsoleti i contesti definitivamente, quasi uno sberleffo ad alta tecnologia, per ricordare che niente è più serio e scientifico di una vera provocazione.
Il “beaubourg” è una “fabbrica del sapere” fatta di tubi, macchine, scale mobili esterne, interno ed esterno, luci, ombre e artificialità si fondono in un continuum estetico e urbano.
Non capisci quando sei entrato, se ti trovi in una piazza o in un museo, ma ancora una volta è la luce a spiegarci che quella non è la casualità della vita, che in quell’hangar di cinque piani oltre a giocare con la città, e a mettere in ridicolo le convenzioni,
Si realizza un’idea compiuta di luogo urbano, fatto di una splendida piazza(vera) e di tante piazze(finte)che ci raccontano ancora una volta la magia dell’arte nella complessità della sua rappresentazione, in assenza di mediazioni retoriche.
Piano & Rogers sono i grandi filosofi della luce che riescono nell’impresa impossibile di rendere ancora più luminosa “la ville lumiere”.
La luce di Parigi inonda la facciata industriale del “museo” come ad osservare casualmente l’evolversi della meraviglia che i piani liberi e immensi contengono, i maestri e i gregari del ‘900 si riflettono nella città che più li ha amati e l’ex-giovane architetto italiano riesce a darci un briciolo di un “altro Rinascimento”, anche se lontano da casa e molto lontano da qui.
L’architettura comincia ad essere indifferente ai contesti storici, vuole una città fatta di gesti stupefacenti in grado di provocare estasi (o disgusto) nello spettatore.
Debutta l’archi-star, un demiurgo-sciamano che trasforma la tranquilla professione dell’architetto, in una componente essenziale della trionfante società dello spettacolo.

“l’anti-scatola”(il Guggenheim di Bilbao)È un altro Frank, ma Gehry che a Bilbao,e sempre per la famiglia Guggenheim, plasma la sua imponente anti-scatola di titanio (per rivestire facciate?) per sfidare l’arte a nuove imprese,e vince perché il Museo diventa la Cattedrale della contemporaneità,dove il rito laico dell’ecclesia si stabilisce per principio urbanistico .
Un’architettura- animale, luminescente, arenatasi a Bilbao da chissà quale oceano concettuale, un foglio di carta appallottolato e impossibile da disegnare con le tecniche tradizionali.
Il vecchio hippy canadese si scatena, fa esplodere le forme, la luce, le funzioni e l’idea stessa di museo, intorno non c’è Park Avenue, ma un detrito industriale senza grandi qualità urbane, ma il Super-Guggenheim colonizzerà la città facendone convinzione estetica.
La nuova percezione impone equilibrismi strutturali, fenditure da cui luci ed ombre dialogano con la contemporaneità, l’avanguardia architettonica diventa necessaria, e chi non riesce a “vedere” risulta inadeguato.
Ma rispetto a quel nastro stropicciato la città tutta è inadeguata e non potrà mai raggiungere quella nuova magia di rigore, di forma.
L’urbanistica può diventare arte?
Gehry è un illusionista della luce, e non solo per le “sale” che pulsano col trascorrere del tempo ma perché ci regala tramonti veri e albe artificiali, come a costruire un continuum interno/città-architettura/luce.
L’arte contemporanea si riprende le strade, e l’architettura delle simbologie riflette il desiderio di rendere comune il tracciato della sperimentazione.

“(f)orme nuove nel futuro” (il museo dell’Art campus, Umea, Svezia)Per parlare di una particolare idea di futuro nella luce e nell’architettura ho scelto un’opera di Henning Larsen, il museo dell’Umea Art Campus, in Svezia.
Opera apertamente semplice, essenziale, nitida.
E’ luce essa stessa, è luminescenza.
Un monumento rigoroso alla bellezza visiva, alla magia della luce naturale che dialoga col sapiente impianto espositivo artificiale.
Natura, cultura, urbanistica e spazio, compongono una melodia, raggiungono un’armonia che produce ben-essere, nell’essenzialità del gesto creativo non si torna all’ordine ma al cuore dell’idea unificante dove intensità della forma e della luce sono omologhe.
La luce al centro, “la luce dell’architettura per l’architettura della cultura”, ricostruisce l’aura che neppure nell’epoca della riproducibilità è venuta meno, il misterioso fenomeno elettromagnetico ci aiuta a comprendere il lato prezioso del sapere.
La luce è quella parte dell’architettura che non si disegna, una visione, un trucco sapiente: è il tocco del concertista, determinante quasi quanto quello del compositore.
Nel destino dell’arte contemporanea c’è la volontà di indagare le aspettative e le ambizioni degli uomini, è compito dell’architettura portarne alla luce il significato più oscuro, renderlo vivo all’interno di ogni progetto per la cultura.
Questo ci rende partecipi dell’evoluzione della specie, con quello che sappiamo e che continueremo a raccontare, insieme: artisti, architetti e inventori di luce.

Maurizio de Caro
Milano, 15 ottobre 2020 per Panzeri

Potrebbero interessarti anche